Corpo
Quanti erano?
La rilevazione dell’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliano e Dalmati pubblicata a cura di Amedeo Colella nel 1958 e lo schedario di Alfredo Negri, conservato presso l’Archivio storico del Comune di Bolzano, sono le principali fonti statistiche cui ricorrere per provare a quantificare la presenza dei giuliano-dalmati in Alto Adige.
Arrivato da Fiume in Alto Adige nell’immediato secondo dopoguerra, dal 1950 al 1955 Negri fu segretario provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD). Egli tenne un aggiornato schedario di tutti i profughi censiti dopo il 1945, grazie al quale oggi è possibile ricostruire buona parte della storia dell’esodo in provincia di Bolzano. Tale documentazione, oggi conservata presso l’Archivio storico della Città di Bolzano, ha permesso non solo di stimare il numero complessivo dei profughi, ma di delinearne il profilo sociale e stabilirne le zone di provenienza. Per quanto riguarda il primo dato, i giuliano-dalmati in Alto Adige contavano circa 2.500 unità, compresi quanti giunsero in provincia di Bolzano tra il 1919 ed il 1940 e quanti vi approdarono prima del 1945.
La cifra può essere con buona approssimazione considerata attendibile sulla base sia dei riscontri dello schedario Negri, sia delle statistiche elaborate da Amedeo Colella sull’esodo dalle terre adriatiche, secondo le quali tra il 1954 ed il 1955 si potevano contare 1.124 profughi nella provincia di Bolzano (2.097 nell’intera regione Trentino-Alto Adige).
A proposito di questi dati valgono comunque una serie di avvertenze. La prima è che si tratta di numeri che riguardano esplicitamente coloro i quali erano venuti alla luce perché avevano chiesto di essere riconosciuti come profughi. Di sicuro si trattava della stragrande maggioranza dei giuliano-dalmati giunti in Alto Adige, ma certamente non di tutti. La seconda è che, per quanto riguarda la statistica di Colella, abbiamo a che fare con un censimento che si ferma a fotografare la situazione tra il 1954 e il 1955, mentre il flusso si considera esaurito solo nel 1961. La terza è che, per quanto riguarda il mondo dei giuliano-dalmati in Alto Adige, molti di loro erano partiti già dopo l’8 settembre del 1943, altri ancora prima della guerra, come le tante persone di origine austriaca che a Fiume e Abbazia avevano alberghi e avevano cominciato a spostare i loro affari a Merano. Altri, infine, pur nati al di là dell’Adriatico, in qualità di funzionari pubblici erano stati trasferiti in Italia tra il 1919 e il 1945. Va per altro tenuto presente, a quest’ultimo proposito, che la presenza di una comunità giuliano-dalmata in Alto Adige tra gli anni Venti e Quaranta rappresentò un punto di riferimento (specie se riferito a reti parentali e/o amicali) per quanti giunsero in provincia di Bolzano in seguito all’esodo.
Per chiudere questa parentesi quantitativa può risultare interessante osservare quale fu la capacità di accoglienza della provincia altoatesina rispetto alle altre regioni italiane. Sul piano dell’incidenza sulla popolazione corrente, i profughi in Alto Adige ‘pesavano’ per lo 0,32 %, rispetto allo 0,27 % dell’intera regione. Si trattava di una percentuale che poneva la provincia di Bolzano ai primi posti tra tutte le regioni d’Italia, dopo la Venezia Giulia (18,1 %), la Liguria (0,52 %), il Veneto (0,46 %) e il Piemonte (0,34 %). Erano numeri che sottolineavano il ‘generoso’ apporto di accoglienza dato dall’Alto Adige.
Archivio Storico della Città di Bolzano, Fondo ANVGD, Documentazione
Archivio Storico della Città di Bolzano, Fondo ANVGD, Tessera associativa ANVGD – Comitato Provinciale di Bolzano
Da dove venivano?
Provenienti da Fiume e l’Istria, zone insieme a Pola maggiormente interessate, i profughi giunti in provincia di Bolzano nel biennio 1946-1948 facevano parte di coloro i quali avevano conosciuto le politiche di epurazione del nuovo regime jugoslavo, finalizzate alla liquidazione di persone e gruppi che interferivano con il radicamento del nuovo potere. Accusati di essere “nemici del popolo” e responsabili del dissesto economico, considerati “residui del fascismo” e classe borghese profittatrice, furono colpiti proprietari, azionisti o rappresentanti legali delle imprese e società fiumane, piccoli esercenti.
Da Pola proveniva il maggior numero di persone: 152 nuclei familiari tra il 1945 (102) e il 1950; seguiva Fiume: 147 famiglie tra il 1943 e il 1954 (flusso maggiore tra 1947 e 1949) ed Abbazia: 51 famiglie 1946-1950. E poi ancora Zara (49 famiglie), Laurana, Spalato, Trieste, …
Gli anni 1945-1951 furono quelli segnati dal maggior numero di partenze dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia per l’Alto Adige: 519 famiglie censite. Il 1947, l’anno in cui con la firma del Trattato di Parigi si disegnava il nuovo confine orientale e prendeva il via la prima forte ondata dell’esodo, fece registrare anche il maggior numero di profughi giunti a Bolzano.
Grafico delle zone di provenienza dei nuclei familiari giuliano-dalmati giunti in Alto Adige (1944-1956)
Tratto da: Luana Arman, Dimensioni e caratteri dell’esodo giuliano-dalmata in Alto Adige. 1946-1948, Tesi di Laurea, A.A. 2010-2011 (Università agli Studi di Trento, Facoltà di Lettere e Filosofia), p. 57
Dove trovarono accoglienza e come si distribuirono in provincia di Bolzano?
La maggior parte dei giuliano-dalmati trovò residenza a Bolzano (417 famiglie), altri si stabilirono prevalentemente nei maggiori centri della provincia: Bressanone, Brunico, Merano, Vipiteno.
75 nuclei familiari dopo essere arrivati a Bolzano si trasferirono altrove; di questi il 32% emigrò. Molti andarono in Australia, seguendo così la sorte di altri esodati che dal 1954 partirono per quel Paese da Trieste, con le stesse navi (Toscana) che avevano traghettato i profughi: dal 1954 al 1958 furono circa in 20.000.
All’emergenza costituita dall’esodo cercarono di dare risposta provvidenze del governo e delle autorità locali, i comitati provinciali dei profughi e la rete di solidarietà di quanti, sfollati da quegli stessi territori, avevano già trovato sistemazione in Alto Adige e rivestivano cariche di rilievo.
La Prefettura di Bolzano si mostrò particolarmente attenta alla condizione ed al destino dei profughi. In una circolare ai sindaci e all’Associazione dei commercianti del 16 gennaio 1947, si chiedeva espressamente di esaminare favorevolmente le domande dei profughi giuliani (artigiani e piccoli esercenti) che richiedevano la licenza di esercizio per generi alimentari e abbigliamento “tenuto conto dei riflessi politici della questione”.
L’implementazione dei provvedimenti a favore dei profughi doveva però fare i conti con la realtà di un clima di rapporti sociali sofferente, che contribuiva a far scoppiare guerre tra poveri per la casa, il lavoro, l’assistenza. Dalle testimonianze raccolte sappiamo che era più facile per i profughi aprire un’attività commerciale, che trovare un alloggio. Fu quest’ultimo uno dei problemi più acuti. Spesso si trattava di alloggi di fortuna o di centri allestiti all’occorrenza, come la caserma Guella di Laives, baracche militari ai Piani di Bolzano, sempre a Bolzano il villaggio Lancia e l’ex campo di concentramento di via Resia, a Salorno un deposito dell’aeronautica militare.
A livello nazionale ancora nel 1963 esistevano 15 campi profughi con 8.493 esuli.
Anche sul piano dell’impiego non tutto funzionava al meglio. Per quanto riguarda la riassunzione obbligatoria dei profughi già dipendenti delle Amministrazioni Comunali e Provinciali della Venezia Giulia, sappiamo che per molti di loro significò ripartire dalla gavetta.
Grafico delle destinazioni dei nuclei familiari giuliano-dalmati
Tratto da: Luana Arman, Dimensioni e caratteri dell’esodo giuliano-dalmata in Alto Adige. 1946-1948, Tesi di Laurea, A.A. 2010-2011 (Università agli Studi di Trento, Facoltà di Lettere e Filosofia), p. 84
Piantina della sistemazione delle famiglie giuliano-dalmate nella caserma “F. Guella” di Laives
Archivio Storico del Comune di Bolzano, Fondo Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia, Comitato provinciale di Bolzano
A che categorie sociali appartenevano?
L’analisi delle schede dei profughi conservate presso l’Archivio storico della Città di Bolzano permette di ricostruire con buona approssimazione il quadro sociale d’insieme dell’esodo in provincia di Bolzano:
- Libere professioni (legali, privati, tecnici) 5 %
- Impiegati e dirigenti (impiegati, funzionari, insegnanti) 18%
- Militari 3%
- Commercianti, artigiani e assimilati (commercianti, servizi, albergatori, artigiani) 13%
- Operai 14%
- Donne, anziani, inabili e altri non ascrivibili alle precedenti categorie per insufficienti notizie (casalinghe, studenti, pensionati, disoccupati; sconosciuto 12%) 47%
Archivio Storico della Città di Bolzano, Fondo ANVGD, Scheda censimento dei profughi giuliani e dalmati
Dall’osservazione di questi dati si desume che in Alto Adige la componente operaia dell’esodo, maggioritaria a livello nazionale secondo i dati del primo censimento ufficiale dei profughi (1955), è sotto-rappresentata. Si tratta un aspetto di non secondaria importanza, se inserito nel contesto politico e sociale del primo dopoguerra in provincia di Bolzano. Accanto agli operai e agli impiegati, vi sono presenze significative nel settore alberghiero (4%) e nella scuola (5%).
La prevalenza di categorie lavorative assimilabili al funzionariato e all’impiego pubblico può essere compresa, considerando le linee che il Governo e le Autorità locali seguirono per dare una risposta al problema dei profughi. Una risposta che doveva comunque tenere conto della fase politica assai delicata, in cui si trovava l’Alto Adige all’atto della firma dell’Accordo Degasperi-Gruber.
Gli aspetti politici dell’esodo in Alto Adige
Nell’immediato secondo dopoguerra nel pieno dei negoziati tra Italia e Austria per giungere ad una soluzione bilaterale del problema altoatesino e con irrisolta la questione della riacquisizione della cittadinanza italiana per i sudtirolesi che in massa avevano optato per quella germanica nel 1939 (ca. l’86% dell’intera popolazione di lingua tedesca, molti dei quali si erano trasferiti nel Reich: ca. 70.000 unità), l’arrivo in Alto Adige di profughi, sfollati, reduci costituiva per la minoranza di lingua tedesca una delle preoccupazioni maggiori. Anche sul piano diplomatico l’Austria, tutrice degli interessi dei sudtirolesi, richiamava con fermezza l’Italia a porre un freno ad eventuali flussi di immigrazione italiana e all’occupazione dei posti nell’amministrazione locale e statale (Serra, 1988). Il governo italiano, almeno fino all’atto della firma dell’accordo tra De Gasperi e Gruber, si mostrò attento a non forzare troppo sugli equilibri “etnici”, tanto che lo stesso Presidente del Consiglio De Gasperi avvertì la necessità di comunicare ai suoi ministri quale comportamento adottare in merito:
“Tenuto conto particolare situazione politica della provincia di Bolzano si eviti possibilmente far luogo trasferimento in quella provincia funzionari et impiegati enti locali e parastatali profughi dalla Venezia Giulia salvo per conoscenza lingua e cognizioni locali non siano eccezionalmente raccomandabili. Prego assicurare”[1].
La raccomandazione di De Gasperi risultava quanto mai tempestiva, visto che il giorno precedente (28 luglio 1946) il giornale L’Arena di Pola aveva pubblicato la notizia che 9.496 capifamiglia avevano deciso di abbandonare la città; l’esodo che poi coinvolse 28.000 polesi su una popolazione di 30.000 abitanti era ormai nei fatti. A meno di un mese dall’apertura della Conferenza della Pace a Parigi nonché dal suo discorso dinanzi all’assemblea generale e all’opinione pubblica internazionale, il Presidente del Consiglio aveva bisogno di non sollevare questioni che avrebbero potuto indebolire ulteriormente la posizione dell’Italia ai tavoli della pace. (…) Ragioni politiche furono anche quelle che all’indomani della firma dell’accordo con l’Austria consigliarono il governo italiano di facilitare l’arrivo e l’impiego di profughi giuliano dalmati in Alto Adige. Sicuramente De Gasperi non avrebbe mai avvallato una riedizione della politica di italianizzazione come quella portata avanti dal fascismo, ma pur pronto a non forzare sugli equilibri “etnici” con immigrazioni di massa, fu altrettanto attento a favorire il rafforzamento di una numericamente forte e socialmente articolata comunità italiana. Davanti alla stampa per illustrare i contenuti dell’accordo con l’Austria, confermare la volontà del governo italiano di assicurare i diritti della minoranza di lingua tedesca e provvedere affinché crescesse il numero degli impiegati pubblici di lingua tedesca, De Gasperi affermò che si faceva il massimo sforzo per inviare in Alto Adige personale bilingue. I giuliano-dalmati, e i fiumani tra questi, costituivano una possibile scelta, avendo le caratteristiche adeguate per collocarsi a pieno titolo nella società altoatesina: erano stati sudditi dell’Impero austro-ungarico, erano cresciuti in ambienti plurilingui e multiculturali e conoscevano la lingua tedesca. Inoltre, interpretavano al meglio la fedeltà agli interessi nazionali, erano i perfetti rappresentanti dell’italianità. (…)
Il Trentino e l’Alto Adige furono presi in considerazione come possibili luoghi di accoglienza e di sistemazione definitiva in vista dell’esodo da Pola. Nella seconda metà del 1946 il Cln della città istriana incaricò tra gli altri don Felice Odorizzi – trentino di nascita ma “fiumano d’azione” – di recarsi in missione nelle due province per trovare una soluzione al problema dei profughi in partenza. Nella sua relazione stilata nel novembre di quell’anno il sacerdote riferiva di una rete di accoglienza che avrebbe garantito alloggio e lavoro a quasi 3.000 anime, grazie al coinvolgimento della Cri, dell’Eca, delle associazioni caritative, delle istituzioni locali e della comunità giuliano dalmata (De Simone, 1962, pp. 75-76). Nell’imminenza dell’esodo da Pola il governo italiano aveva escluso forti concentrazioni di profughi nelle provincie italiane, facendo così cadere l’ipotesi maturata in seno al Cln di Pola non solo di rifondare la città in Puglia ma anche di creare un forte insediamento in Alto Adige, dove l’industria e le strutture alberghiere potevano assicurare lavoro e prima accoglienza. Ciò comunque non precluse l’arrivo di una quota di profughi in provincia di Bolzano. Furono anzi aperte delle corsie preferenziali per il loro arrivo, per le quali era necessario il convinto e pieno appoggio delle rappresentanze locali del governo: le Prefetture. Nella dichiarazione ufficiale dell’apertura dell’esodo da Pola del 23 dicembre 1946, infatti, tra le disposizioni del comitato di assistenza vi era anche la seguente specifica indicazione:
“3) Lavoratori per le province di Trento e Bolzano – I lavoratori che intendono trasferirsi definitivamente nella provincia di Trento e Alto Adige, ivi compresi i lavoratori dell’agricoltura, si presentino agli Uffici del Comitato per la compilazione della scheda personale. Tale documento è indispensabile per l’accoglimento delle famiglie dei lavoratori e l’eventuale sistemazione degli stessi nelle provincie suddette” (Romano, 1997, p. 238).
(…) La posizione del governo italiano in tema di profughi da collocare in Alto Adige, ma più in generale di italiani provenienti dalle altre province, si tradusse alla fine nella scelta di non ostacolarne l’arrivo, evitando comunque trasferimenti di massa. I canali dell’immigrazione interna verso la provincia di Bolzano dovevano restare aperti per permettere il rafforzamento del gruppo di lingua italiana, secondo le indicazioni di De Gasperi. (...) Nel corso degli anni i profughi giuliano dalmati seppero ben integrarsi nella società locale. Diedero inoltre un apporto sostanziale nell’irrobustire le fila della borghesia italiana in Alto Adige, diventandone qualificati interpreti.
Tratto da: Giorgio Mezzalira, Intrecci di confine. La vicenda dei profughi fiumani in Alto Adige, in Elisa Bianco, Paola Bocale, Daniele Brigadoi Cologna, Lino Panzeri (a cura di), Flume Fiume Rijeka, Quaderni del CERM, Ledizioni, Milano, 2021
Dichiarazione ufficiale di apertura dell’esodo da Pola (23 dicembre 1946)
Tratto da: Paola Romano, La questione giuliana 1943-1947, Lint, Trieste, 1997, p. 238
[1] Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri , Gabinetto, 1944-1947, f. Alto Adige. Telegrammi vari inviati da Roma, Roma, 29 luglio 1946.
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Area memoriale dedicata ai giuliano-dalmati